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  • Immagine del redattoreTommaso Monaldi

Ad un Imprenditore Italiano X

Aggiornamento: 13 mag 2020

La nostalgia del passato non ci riguarda. Per noi il futuro è ampio, possibile, plurale, con tanti problemi da risolvere. Noi non abbiamo un passato di cui essere nostalgici. Per noi l’avanti è l’unica via per essere.



Caro Imprenditore,

in questo periodo di eccezione ho seguito ogni #streaming possibile.

Ho passato le giornate al telefono, sui libri o davanti allo schermo del computer a scrivere, ascoltare e rielaborare. Ho tenuto lezioni in streaming e incontrato clienti in ambienti #virtuali. Ho preso i progetti degli ultimi anni e li ho archiviati, cercando di immaginarmi un altro #futuro, perché ad ogni evoluzione si fa selezione e da li si riparte, senza bagagli. E così hanno fatto le persone come me.



> LA MIA GENERAZIONE

La mia è una "generazione orientata ad obiettivi concreti di auto-realizzazione" come dice Francesco Morace, l’economia di rete è quello in cui crediamo, il nostro pensiero è digitale ma comprendiamo certi valori del passato. Siamo spesso il ponte tra i più giovani #Millennials e gli adulti più maturi, figli del capitalismo. Questo ci permette di saper dialogare su più fronti, di comprendere con pazienza le dinamiche del passato mentre tiriamo e scalciamo per raggiungere un #futuro che vediamo possibile. Gli anni in cui siamo cresciuti ci hanno reso #collaborativi, #creativi e nostro malgrado, #multitasking. Comprendiamo culture diverse perché amiamo viaggiare, conoscere, esplorare. Nella diversità intravediamo ricchezza. Dobbiamo conoscere le lingue e avere almeno cinque anni di Università alle spalle, ma in realtà è quello che vogliamo. La #conoscenza ci affascina. A noi interessa l’evoluzione in tutti i termini, perché nel presente immobile non ci troviamo a nostro agio. Vogliamo rielaborare il mondo, diamo molto e pretendiamo tanto, perché crediamo nelle sfide, mai impossibili e ci mettiamo il cuore. Siamo quelli delle #StartUp, quelli che fanno fatica a farsi una famiglia e viaggiano di continuo, ma che credono nel territorio e nel valore dei piccoli paesi.


Lavoriamo in #rete, in #coworking e da remoto da molto prima che un Virus costringesse tutti gli altri a farlo. Amiamo l’innovazione e abbiamo fame di futuro in equilibrio con l’ecosistema.

Siamo quelli che non hanno un'agenzia ma lavorano in #network, connessioni che si attivano a seconda delle necessità come la struttura di un cervello. Siamo Pirandelliani se vogliamo: uno, nessuno, centomila, a seconda di quel che serve. Ma siamo anche la generazione che sta pagando di più le crisi degli ultimi anni. Spesso siamo quelli che vedono ma non possono raggiungere. Quelli che vorrebbero dire ma si fermano ad ascoltare, quelli che pagano i debiti del passato, non solo economici. Siamo #digitali, e per questo anche in una lettera personale parliamo al plurale, raccogliendo una comunità di esseri simili, distribuita in giro per il mondo.


> IERI, OGGI, DOMANI

In questi giorni ho scritto molto, come hanno fatto quelli come me, e nelle righe seguenti faccio un sunto che spero possa essere utile. Scrivere organizza il #pensiero. Leggere mette in relazione modi di pensare e vedere differenti, creando qualcosa di nuovo. Forse #visioni, magari #idee per raggiungerle. È quel che spero.

Uno dei concetti chiave emersi nella mia mente in questo periodo è che questo particolare "momento di eccezione", come lo chiama e lo approfondisce Giorgio Di Tullio, delineerà una sorta di confine tra prima e dopo, manifesta incoerenze sostanziali nei valori e nelle azioni delle organizzazioni. Questo denota che il precedente periodo aveva qualcosa che non andava.


Credo che l’eccessivo correre impedisse a valori veri di sedimentarsi e distribuirsi. Valori non sedimentati si affiancavano a visioni sempre più opache, vittime non della pigrizia nell’immaginare un futuro promettente, ma della mancanza di tempo e attenzione per accorgersi che tutto stava cambiando. Il futuro non è più prevedibile, solo possibile.

Basta vedere che oggi, dopo un mese di #Coronavirus, molti brand importanti continuano a fare advertising come se nulla fosse, non capendo che le persone stanno vivendo la complessità e pensano ad altro. Spesso si aspettano proprio da quei brand rassicurazioni, idee, visioni, speranza. Ma la Corporate Diplomacy è ancora solo un’idea di alcune imprese multinazionali, e l’agire di molte altre aziende assomiglia più ad un arraffare in totale stato di panico, anziché prendere una posizione che incontri la fiducia delle persone. #Fiducia è una delle parole chiave dei prossimi anni secondo Giorgio Di Tullio, che la identifica come essenziale per affrontare la complessità in cui siamo immersi.

Credo sia chiaro a molti che il #management tradizionale non è in grado di affrontare tutto questo, il concetto stesso di delega (sostanziale per valorizzare la competenza altrui) vacillava prima di questo momento. Ora è necessaria la piena fiducia per permettere a singoli #professionisti, uniti in team #multidisciplinari e multiculturali, di sviluppare le sfide che ci attendono. Ma se prima la delega stentava a funzionare, figuriamoci se parliamo di fiducia. Lo stesso Farinetti ha citato statistiche secondo cui solo il 20% degli italiani ha fiducia nelle altre persone. Il sistema così è bloccato. L’humus anche se fertile non è nelle condizioni di fiorire. Sun Tzu grande stratega del 500 a.C. diceva che nessun generale potrà mai vincere una guerra senza la fiducia dei suoi soldati. E viceversa. Oggi nello scenario che stiamo vivendo questo è ancor più vero.


Il valore della #committenza è fondamentale perché può aprire le porte dei futuri possibili se c’è la capacità di intercettare persone di valore e se c’è, ripeto, la totale #fiducia.


> IL DESIGN Poi c’è la questione del #design, un design nuovo che deve permeare ogni disciplina grazie ai suoi metodi aperti, efficaci e #creativi. Il design non può essere confinato ad una élite che agisce solitaria. Già in alcune parti del mondo è così. Lei caro imprenditore ama il design come me, ma anch’esso è cambiato perché si è adattato prima di altre discipline alla contemporaneità. Almeno un certo tipo di design, quello che amo, quello in cui credo.


Parlo del design che si occupa dei #contenuti prima che della comunicazione, che si occupa della #sostanza prima che della forma, quello che è attento alle #persone, all’esperienza e ai servizi.

Lei lo sa che da una recente ricerca fatta da una collega emerge che solo il 33% degli studi di design italiani lavora con le imprese? Onestamente pensavo anche ad una percentuale minore. I miei colleghi più bravi lavorano quasi tutti nel settore cultura, arte e formazione, o hanno cambiato lavoro. Gli altri sono all’estero. Questo è quello che accade quando le menti evolvono più velocemente del sistema in cui vivono, il risultato è la migrazione. Una perdita enorme per il Paese da cui le persone se ne vanno. Una ricchezza inestimabile per i Paesi che ricevono questi flussi. Si, quelli come me la pensano così.

Nel design di oggi ogni progetto deve avere valore #sociale. Progetti per la #transizione, per l’innovazione sociale, per la #sostenibilità e la #resilienza, progetti che innescano #relazioni, progetti che ricercano nuovi mondi e modi possibili, che attivano processi, che valorizzano il lavoro, il #confronto e l’incontro. Il bello è tutto questo, soprattutto se messo in connessione, aperto e coerente con il pensiero digitale. Stava cambiando da tanto tempo ma c’è voluto uno stato di eccezione per renderci consci che tutto è diverso. Serve un nuovo modo di educare, nella vita, nelle scuole, nelle imprese. Anche il design può fare la sua parte. Il design sempre più permeerà le altre discipline. In un mio articolo scrissi che il design diverrà vapore, utile a far germogliare la ricchezza molteplice di questo mondo fatto di tante discipline e culture diverse. I progetti devono considerare il nuovo sistema in cui nascono e magari avere la possibilità di essere adattati a realtà differenti, ogni volta uniche.


Il mestiere di designer non si risolve nella perfezione stilistica, nella sterilità di un bianco semplicemente vuoto o in un unico elaborato visivo. È un processo culturale volto a connettere le varie realtà delle imprese, è trasferimento #culturale, è la ricerca di bisogni nuovi e nuovi modi di intendere gli spazi e il tempo, in team capaci di #immaginare veramente. Ora si lavora #insieme. Senza dimenticarci che la comunicazione è quella rivolta alle persone. Esse sono ripetitori potentissimi, corde che vibrano se toccate nel #cuore.

Che sia prodotto o comunicazione, per dare forma a qualcosa ci vuole la sostanza. Oggi del risorgimento italiano è rimasto il racconto. Lo chiamano #storytelling, o “digital x”, “y economy”, o “z marketing”, dove x y z stanno per qualcosa che le agenzie cambiano una volta al mese. Per vendere. Per vendersi. Ma manca la #sostanza. Quante telefonate riceve caro imprenditore di persone che recitano una storia a memoria per venderle il successo?


L’unica storia da prendere in considerazione è quella in cui si afferma l’incertezza del futuro. Dobbiamo aprirci, incontrarci e cambiare i #metodi di lavoro, per fare le cose meglio. Meno e Meglio.

Uno storico, che ho avuto la fortuna di conoscere durante il mio percorso formativo, mi insegnò quanto la committenza sia fondamentale per la buona riuscita di un progetto. Quanto il progetto è figlio di due genitori: designer e impresa. Senza apertura, voglia di investire, coraggio, fiducia e collaborazione noi designer non progettiamo nulla di buono. Non più in questa complessità dove il cambiamento di mentalità è indispensabile. Non se ne può fare a meno. Non si può.



> QUESTIONI DA RISOLVERE Scrivo questo per poter tornare alla questione del 33% degli studi italiani, perché nella collaborazione tra Design e Imprese vedo tante possibilità di sviluppo e di futuro. Sto dicendo chiaramente che c’è un problema, e secondo me il problema è riassumibile nei seguenti punti:


  1. Molte imprese fagocitate dalla frenesia guardano al domani e mai al dopodomani, trovandosi a correre sempre più, fino a raggiungere una velocità incompatibile con il buon progetto. Quindi diventano incompatibili con qualsiasi soluzione sostenibile;

  2. Se non si investe mai in qualcosa il cui ritorno è incalcolabile, significa che non si sta innovando e che prima o poi il ritorno di tutto il resto sarà inutile. I numeri sono uno strumento utile, ma non la sostanza;

  3. A forza di raccontare di essere i migliori molte imprese ci credono, chiudendosi ai pensieri alternativi (ma questo è colpa di chi fa comunicazione alla vecchia maniera). Intanto le agenzie “x y z” insegnano a come pro-muoversi e basta, perché muoversi prima è un linguaggio coerente con il punto 1, con la frenesia, e le agenzie per prima cosa sanno come vendersi e non come valorizzare imprese e persone.


La sostanza necessita di #tempo, #pensiero, #ricerca, #metabolizzazione, #genialità, #confronto, #errore. Tutte cose lente, il cui ritorno è spesso incalcolabile e che ci sbattono in faccia un’unica realtà: non siamo i migliori in niente, possiamo solo impegnarci con tutte le nostre forze, attendendo la "magia". Quella che cambia davvero le cose.

Ne consegue che la sostanza, indispensabile per dare forma ad un progetto valido, risolutivo, innovativo e sensato, diviene incompatibile con i punti 1,2,3. Quindi con molte imprese. Quindi la maggior parte degli studi che si occupano di buon progetto non lavorano più con le aziende.



> ECCEZIONE, CAMBIAMENTO Questo momento è molto difficile caro imprenditore, ho ridotto il mio lavoro del 80% e questo è capitato anche alle altre persone come me. Ma credo che il tempo in cui ci troviamo ci stia regalando una straordinaria opportunità, quella di pensare, riorganizzare e ripartire, anche se con tanti sacrifici.


Oggi servono persone digitali, fluide, creative ed #empatiche, capaci di collaborare, risolvere problemi, comprendere le conseguenze #globali di scelte #locali, capaci di dialogare al fine di creare soluzioni efficaci e #adattabili ai vari contesti. Dobbiamo essere abili traduttori e integratori, perché ci siamo accorti che la globalità è fatta di #comunità caratterizzate dalle proprie differenze, e l’esistenza di tutto questo è straordinaria ricchezza da mettere a #sistema.

Mentre la globalizzazione che divora, appiattisce, standardizza è una enorme str**zata, mi perdoni. Abbiamo bisogno di meno “Lei” e più conversazioni vere, abbiamo bisogno di coraggio e voglia di fare, a costo di rimetterci il posto di lavoro. È tempo di meno teoria e più pratica, unita a competenze e collaborazione. È tanto tempo caro imprenditore che quelli come me non incontrano un manager capace di lottare per un’idea, capace di dare fiducia per qualcosa in cui crede veramente, anche a costo di perdere il lavoro nel caso andasse male. Ma per cambiare c’è bisogno di questo e tanta umanità.

C’è bastato un mese costretti a casa per capire che abbiamo voglia di persone, di relazioni, che ci piace ascoltare, fare le cose con le mani.


Finalmente abbiamo potuto #rallentare fino a #fermarci, e improvvisamente abbiamo messo a fuoco il panorama stupendo che ci stavamo perdendo. E ce ne siamo innamorati, abbiamo capito di essere empatici. Tutto questo è eccezionale. Chi uscirà da questo momento senza aver riflettuto nel profondo, mettendosi in discussione, avrà perso l'occasione di far parte del #futuro.

Nonostante la paura per la nostra vita e quella dei nostri cari, ci siamo raccolti ad indagare il perché delle cose. Mentre le fabbriche chiudevano, nonostante le mille difficoltà, alcuni hanno aperto nuove attività proprio in questi giorni, fluide e prossime alle persone. I nostri dormitori si sono trasformati all’improvviso in case troppo piccole, sbattendoci in faccia l’inadeguatezza progettuale di certi ingegneri e architetti che costruiscono alveari chiusi. Ecco, forse questo è il secondo più grande contributo del Virus, averci palesato l’inadeguatezza di un modello completamente sbagliato. Non tutti hanno la fortuna di vivere tra le campagne. Questa situazione non è democratica.


Oggi è tempo di uscire con la lente di ingrandimento, per ammirare i #germogli nati da questo stato di eccezione. Essi sono indizi, nuove radici ed energia. Se nulla è prevedibile e il vecchio è inadeguato, l’unica via è la visione e il futuro.

Questi non sono i giorni in cui i reparti di comunicazione dovrebbero scrivere #celafaremo, per me inutile banalità. Sono i giorni in cui bisogna fare ricerche, capire, essere vicini alle persone, ai clienti, cercando di intercettare desideri, bisogni ed emozioni. #Emozione è un’altra parola chiave fondamentale. La razionalità è una cosa inventata dall’uomo, è l’emozione che ci guida e permette comportamenti e azioni. Quante aziende conoscono i desideri e le emozioni dei propri clienti? Essi non sono numeri, sono vivi, hanno bisogno di fiducia e di realizzazione. Insieme a loro vanno costruiti i nuovi progetti. Con loro va fatta la comunicazione.

In questi momenti tutto può essere rimesso in discussione, ordinato, interrotto per davvero o al contrario accelerato, ma alla maniera della rivoluzione digitale. Una velocità sana e creativa, non dissipatrice e sterile. Ora sospesi in questo limbo viene da focalizzarsi solo sulla ripartenza il prima possibile, ma non è questa la soluzione a mio avviso. L’ultima cosa da fare sarebbe ripetere esattamente ciò che si è fatto prima, e siamo tutti consapevoli che prima le enormi fatiche non portavano ai risultati voluti. Lo abbiamo anche vissuto insieme.


Ogni giorno ci siamo svegliati con la sensazione che i metodi non erano efficienti, che gli sforzi non fossero premiati, che le persone andavano omologandosi e che i valori perdevano di coerenza e di senso. Stavamo diventando dei maratoneti senza traguardo. La bellezza elegante di ogni gesto atletico spariva di fronte all’inutilità dei risultati.

Citando un articolo letto da poco: “Ponendoci questo tipo di domande, ognuno di noi inizia a immaginare gesti-barriera non solo contro il virus, ma contro ogni elemento di un modo di fare che non vogliamo riprendere.” Si tratta di abbandonare un modo di fare le cose e di relazionarci l’un l’altro che ci impossibilita il fare meglio. Quello che sto dicendo è che questo momento di pausa è l’occasione per pensare e organizzarci per fare. Io non sono per le barriere, sono per mostrare possibilità migliori, e questo deve essere il fine: #propositivo. Altre due parole chiave su cui ho fondato il mio lavoro sono Meno e Meglio, o se preferisce meno e tanto meglio.

Troppe volte durante i miei progetti, fatti insieme a quelli come me e a grandi aziende, ho chiesto di fermarci per poter fare le cose meglio, ma non c’è stata la possibilità di farlo. Viviamo la complessità d’altronde. La frenesia e la corsa continua in cui eravamo costretti ci hanno impedito di adottare soluzioni sostanziali. A causa di questa fretta credo che in molte aziende è diminuita la sostanza. Perché la sostanza, come scritto prima, ha bisogno di tempo, riflessione, metabolizzazione. Ora siamo fermi e non solo abbiamo la possibilità di fare ciò che da anni non riusciamo a fare, ognuno con il suo ruolo, ma dobbiamo farlo. Dobbiamo farlo per essere pronti ad un futuro incerto, poco prevedibile (chi parla di previsione e numeri dice cose non vere).



> MANIFESTO LIQUIDO Ognuno di noi professionisti crede in un modo di lavorare, personalmente ho scritto e abbraccio delle tesi, dei punti che tracciano la via, per l’agire coerente in un sistema connesso. Questi miei punti riguardano nello specifico il mio mestiere e sono in continua evoluzione, perché oggi anche i Manifesti sono liquidi.

Ecco le mie tesi liquide:

  • Le imprese stanno cambiando, il mondo è cambiato, è necessario riflettere sui metodi con cui si progetta la comunicazione; 

  • Per anni il marketing ha messo le persone dentro scatole con tanto di etichetta e codice a barre. Ora le persone hanno sollevato quei coperchi e vogliono conoscere, poter scegliere veramente sulla base di valori reali, prodotti e servizi di qualità, generati con processi e materiali sostenibili.

  • L’ecosostenibilità non potrà più essere un vanto pubblicitario. Deve essere semplicemente come si fanno le cose;

  • Il mondo digitale funziona in modo diverso: è pensiero, è modo di vivere e di fare. Non è adattabile: è aperto, è veloce, è relazionale. Se non pensate digitale affidatevi a chi viene da quel mondo;

  • In natura non esiste scarto, ogni cosa dura nel tempo, ogni cosa viene riutilizzata o al massimo riciclata. Ogni processo è antropico, serve intelligenza, serve tendere allo scarto zero come metodo e non solo di materiali, ma anche di energia e di intelletto;

  • Le persone vorranno sempre più il Ben-essere, e lo troveranno in esperienze, relazioni e pochi prodotti ben progettati. Il resto scadrà;

  • Le persone sono il valore più grande per l’Impresa e nell’Impresa. Sono la vera comunicazione verso l’esterno. Nel bene e nel male.

  • Non esistono etichette, segmenti e target. Esistono le persone, le comunità e le emozioni. Servono psicologi, non solo economisti;

  • I numeri sui social sono solo numeri sui social. Poi ci sono le persone e le relazioni;

  • È il tempo della fiducia;

  • Ogni azione ha una conseguenza sull’unico Pianeta in cui conviviamo. Ciascuno di noi deve compiere azioni utili, sostenibili e belle. La bellezza non è un fine, ma un mezzo;

  • Ogni crisi evidenzia incoerenze di valori e azioni, siate sinceri e coerenti, il futuro sarà imprevedibile e la reputazione farà la differenza;

  • Contribuite alla società, schieratevi, siate vicini alle persone; ma fatelo per davvero. Un impegno per interesse avrà come unico risvolto un fallimento irrisolvibile;

  • Il processo, un tempo parte nascosta del lavoro, oggi è uno degli elementi di maggior ricchezza comunicativa;

  • L’identità delle imprese è cultura, culture, pertanto nella progettazione non si può prescindere dalla rete a cui esse sono connesse;

  • L’immagine non si progetta, si registra e si corregge in seguito al manifestarsi di episodi comunicativi, indotti o spontanei, progettati o naturali;

  • Trasparenza, autenticità e rispetto sono valori che oggi le persone pretendono. Trasparenza nella filiera, nel profitto e autenticità nel fare e nel comunicare. Nell’esserci;

  • The medium is the message. Gli strumenti e i metodi che usiamo per comunicare sono essi stessi comunicazione;

  • Il design può portare cultura ed innovazione nelle imprese;

  • Chiarezza di intenti e rigore operativo si traducono in chiarezza di risultati;

  • Complesso non significa complicato;

  • La forma deriva dalla funzione e dal contenuto. La buona comunicazione parte da contenuti ottimi. Non credete nel Make-up.



> CONSAPEVOLEZZA, FUTURO Caro imprenditore, ho scritto a lungo descrivendo quel che penso riguardo a questo periodo, al Design e al mondo delle Imprese. Ovviamente sono miei pensieri, maturati negli anni. L’ho fatto perché secondo me le imprese hanno bisogno prima di valori, coraggio e capacità relazionali e collaborative, poi di competenze che si possono approfondire lungo il percorso che è la vita. Per le resistenze al cambiamento non c’è più tempo.

Ma l’ho fatto anche per chiederle un cosa dopo aver condiviso tante parole.


Vorrei che riflettesse sul linguaggio, nello specifico su una parola. Il #linguaggio permette di comprendere il contesto e a volte anche noi stessi. Non diamo più peso alle parole ma basterebbe farlo per riacquisire certe #consapevolezze. La parola è Impresa.

Imprésa Indica per lo più azioni, individuali o collettive, di una certa importanza e difficoltà: i. audace, magnanima, gloriosa, eroica, leggendaria, difficile, ardua, pericolosa,  rischiosa, ecc. (Enciclopedia Treccani)


Essere Imprenditori è sinonimo di coraggio, intraprendenza e fiducia. È questo che serve oggi, è la differenza tra un’azienda e un’Impresa. È per questa definizione che distinguo tra amministratori e Imprenditori. Perché i secondi non rimangono immobili in momenti di eccezione. Il cambiamento coincide sempre con una personale evoluzione. E da lì bisogna ripartire, esplorando quello che c’è oltre, affidandosi alle persone giuste, ogni volta diverse.


Come dice Raffaele Cantone: “Essere facile ottimisti senza problematizzare rischia di farti sottovalutare la complessità delle sfide che ci attendono e i rischi connessi”, qua non si tratta di ottimismo, ma di consapevolezza e voglia di pensare ai futuri possibili. Non c’è più tempo di attendere. “È cambiando la testa che cambieremo il futuro. E la testa si cambia

dentro. Ancora una volta, è questione di consapevolezza”, dice Federico Faggin. Si tratta di smettere di cercare i problemi al di fuori, guardandosi dentro, divenendo parte della soluzione. Come si dice: se non si è parte della soluzione si è parte del problema.


Caro imprenditore le scrivo questo per farla riflettere, perché è arrivato davvero il momento di chiamare in causa quelli come noi, una generazione culturale che non teme il #cambiamento. Poi sarà davvero troppo tardi.

David Bidussa dice che: “Non riusciamo più a pensare il futuro perché non riusciamo più a fare tre cose:

  1. Pensiamo che il futuro sia solo soddisfazione di ciò che non funziona, per cui il domani è solo immaginario di cose che funzionano perfettamente e soprattutto è assenza di problemi.

  2. Pensare al futuro implica prendersi responsabilità, correre rischi, scegliere e, soprattutto, ragionare non in termini di soddisfazione immediata per noi, ma come investimento per le prossime generazioni.

  3. Abbiamo maturato un senso di frustrazione, rivendicazione e rabbia, per cui l’unica cosa che ci affascina è il riparare ai torti che abbiamo subito o che diciamo di aver subito. Questa è l’unica piattaforma con cui riusciamo a pensare al futuro, e questo dunque risulta ridotto alla quotidianità. Pensare futuro sembra coincidere con cercare di tenere le briglie molto salde sul presente perché potrebbe sfuggirci di mano. Ne risulta la contrazione del futuro, dando luogo a una specie di dittatura del presente che annuncia costi ma non benefici. Nella nostra incertezza del futuro ci scegliamo anche un passato che ci sembra capace di rispondergli, proprio per il carico di mito che lo accompagna, per l’immaginario di successo o di potenza a cui lo colleghiamo. Da qui la nostalgia per il passato.”


Bé questo non ci riguarda, perché per noi il futuro è ampio, possibile, plurale, con tanti problemi da risolvere e soprattutto perché non abbiamo un passato di cui essere nostalgici. Per noi l’avanti è l’unica via per #essere.

Ricominciamo a progettare, e facciamolo Meno e Meglio.


Grazie per il suo tempo.


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Un grazie particolare a Giorgio Di Tullio, alle Conversazioni necessarie di Wyde Connective School, a Fior Di Risorse e alle Conversazioni antifragili di Confindustria Marche per l'approfondito confronto digitale e lo scambio di idee, pensieri e visioni durante queste settimane.


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